Capire Munari

Ancora oggi Munari è considerato un sinonimo di creatività. Ma non solo, perché gli vengono riconosciute anche altre caratteristiche.


Si dice di lui che fu geniale, che ebbe un approccio poliedrico (ricordate il termine “nuovo Leonardo” coniato da Picasso?), qualcuno parlò di “Peter Pan del design italiano”, espressione che credo ne sottolinei la “freschezza” nell’invenzione e il valore che attribuì alla fantasia, fino a farla diventare protagonista di uno dei suoi libri più famosi.


Per me, che l’ho frequentato godendo del piacere di sperimentare (e imparare) al suo fianco, trovo che uno degli aspetti più significativi della persona, ma anche dell’artista, fosse la gentilezza. Un tratto distintivo che non può scordare chi lo conobbe.


Tutto era fatto con garbo, con un sorriso, senza mai imporsi, senza usare nessuna forma di violenza. L’azione di Bruno equivaleva al porgere sia che fosse un oggetto, un materiale, o un progetto.


Il suo era un “fare gentile” che così bene si sposava con la filosofia Zen giapponese. Questa caratteristica faceva di lui una persona curiosa della vita, curioso delle persone, sempre pronta ad imparare. Era interessato al lavoro degli artigiani, al come si “facevano le cose” ed egualmente ai fenomeni naturali che osservava accanto a lui. Nella sua azione si declinava un’espressione che gli fu cara “conservare lo spirito dell’infanzia dentro di se per tutta la vita…”.


Tutto ciò non significa che accettasse ogni cosa o che non esprimesse il suo dissenso verso un progetto che non trovava “giusto”, verso un comportamento che non approvava o che era lontano dalla sua filosofia di vita. La sua autorevolezza era evidente, tanto da farne un punto di riferimento non solo per designer, architetti ed artisti, ma anche per musicisti, attori, educatori, tecnici e tutti coloro sensibili alla sperimentazione e all’innovazione.


Il suo studio era sempre frequentato da giovani e da persone che domandavano un parere e un confronto. Io, per anni, sono stata una di questi. Il tipo di rapporto che si instaurò tra noi, fatto di riconoscimento, rispetto e fiducia reciproca, delineò quello che posso definire un “andare a bottega”. Crescere accanto ad un vero Maestro.


Mi formai con lui sulla didattica, in una prospettiva che non era solo di riproposta del già fatto, ma anche di nuova progettazione. Da questa dimensione di ricerca, condivisa e sostenuta dai suggerimenti che mi venivano dall’artista, nacque il progetto di portare il suo metodo didattico, per l’insegnare l’arte visiva, anche all’interno della scuola. Ma questa è storia di cui ho già parlato, che qui ci può essere utile per evidenziare la modalità del rapporto che si instaurava con Bruno.


Ciò che vorrei invece descrivere sono i valori profondi, per come ho potuto recepirli negli anni di frequentazione, perché a mio avviso il talento così singolare che ha saputo esprimere Bruno era in diretto contatto con la sua persona.


Lui non si rappresentava, ma era. Sono i suoi valori personali, il suo modo di pensare, che determinava ciò che era e conseguentemente il suo comportamento.


Bruno ha sempre manifestato un’attenzione particolare per la società nella quale viveva. Cercava di capire i problemi e provava a suggerire possibili soluzioni. Non era indifferente a ciò che capitava accanto a lui e qualche volta faceva notare aspetti che a suo avviso andavano migliorati. Allo stesso modo capiva la necessità di educare le persone ad avere un pensiero critico a non uniformarsi, a non essere dei “..semplici ripetitori di codici”. Le persone devono capire, non devono rimanere nell’ignoranza. E da qui si manifesta il desiderio di spiegare e di approfondire, fino a creare un costante dialogo tra il pubblico e le sue opere o i suoi progetti nei vari settori nei quali si esprimeva. Chi ha avuto la possibilità di osservare alcuni disegni preparatori, oppure le bozze di alcuni libri, resterà sorpreso dall’attenzione posta ad ogni particolare, nonché alle precise istruzioni che scriveva a lato del foglio.


Nelle sue scelte seguiva i suoi interessi e ciò che il caso e la curiosità gli proponevano. Munari era soprattutto un uomo libero: questo lo ha scritto e ribadito molte volte. Non seguiva quelle che oggi si chiamano le logiche del mercato e sicuramente non era un “arrampicatore sociale”. Era attento alle persone, collaborava con gli amici e non credo abbia mai fatto uno “sgarbo” a qualcuno.


Farà dei laboratori per bambini, dove si educa alla creatività e quindi alla libertà, il suo testamento ed il suo messaggio più importante.


Molti oggi continuano ad attingere e a riferirsi a Munari, si dicono affascinati dalla sua personalità e dalla sua arte e questo è qualcosa che sarebbe piaciuto molto a Bruno. Ma per capire Munari, per entrare pienamente nel flusso di pensiero che ha sostenuto la sua inesauribile creatività e per nutrirsi pienamente della lezione che ci porge, forse occorre riflettere sui valori che ci animano. Ripensarci non solo dal punto di vista del saper fare, ma anche in quello del saper essere.


C’è bisogno dello spirito di Munari oggi?


A mio avviso ce ne sarebbe tanto bisogno proprio perché osserviamo una società sempre meno sensibile, dove le logiche più seguite sono quelle dell’apparire, del potere, del denaro (meglio se facile), del “mors tua, vita mea”. Io credo che per capire realmente Munari, e potere attingere alla potente lezione che lui ci ha messo a disposizione, occorre mettere da parte i fermenti di una società che talvolta appare troppo spinta verso un insensato arrivismo, più che verso il piacere del fare ed imparare e saper attingere così alle nostre risorse più profonde e autentiche. A quel mondo di valore, curiosità e di gioia che ci ha animati fin da bambini. Ritrovarci per crescere.