Se il Metodo va a scuola
Ho conosciuto Bruno Munari a Milano a metà degli anni 80, avendo avuto la possibilità di partecipare alla grande mostra allestita presso Palazzo Reale. Di quella circostanza ho un ricordo molto vivo, ritengo determinato dal fatto che per me fu un’occasione estremamente significativa. Rammento il ticchettio delle “Aritmie Meccaniche”, poste in corridoio stretto, lungo e colorato di bianco, la bellezza zen della “Fontana dalle cinque gocce” che da sola riusciva a riempire di emozione e bellezza tutta una stanza, il grande scalone e l’ingresso dal cui soffitto penzolavano tutte le lettere che formavano il nome Munari realizzate con tele preziose, piuttosto che con molle impertinenti o palline messe in fila, fino ai pannelli in garza della “Nebbia di Milano” che mi divertivo ad attraversare per nascondermi proprio nella nebbia.
Ma per me il cuore di tutto il percorso era sicuramente la grande sala dove Bruno volle istallare il suo laboratorio dedicato ai bambini. Lo spazio del laboratorio, quindi lo spazio del fare, non era un’appendice, ma costituiva una parte integrante della mostra. Tutto era stato progettato dall’artista: i grandi tavoli, i divisori che diventavano anche attaccapanni, panche per la seduta e perfino spazio per lo stoccaggio dei materiali. Si accoglievamo due classi alla volta di bambini delle scuole elementari, accompagnati dalle loro insegnanti che mostravano grande consapevolezza per l’azione che si stava sviluppando.
Se dovessi sintetizzare la percezione che ebbi, collaborando a quell’esperienza, potrei dire che avvertii la netta sensazione che funzionava, tanto sapeva rimandare immediatamente alla certezza che quello fosse il modo giusto di operare.
Fu
quella
consapevolezza che mi animò nel voler riprovare le esperienze del
laboratorio, anche dopo la mostra, con i bambini più piccini: quelli
della
scuola dell’infanzia. Dal Museo alla scuola non fu un passaggio
immediato e non
senza i necessari aggiustamenti. Ricordo che le insegnanti si
stupivano per la
cura dei materiali, per i tempi dilatati, ma anche per la modalità di
approccio
riservata ai bambini. Per oltre dieci anni ebbi la possibilità di
provare
l’approccio didattico di Munari all’interno della scuola pubblica
avendo al mio
fianco come supervisore d’eccezione lo stesso artista. Inizialmente
replicai
quello che avevo visto, cercando di adattarlo all’età, poi iniziai a
sperimentare alcune variabili, per esempio domandandomi che tipo di
strumento
grafico fosse più opportuno con bambini più piccoli. Perché scegliere
un
pastello a cera oppure uno ad olio al posto di un pennarello? Le
esperienze
venivano sempre riviste assieme a Bruno che raggiungevo, direttamente
nel suo
studio di via Colonna, nei miei frequenti viaggi dall’ Oltrepò Pavese
verso
Milano. Osservavamo attentamente i manufatti dei bimbi, riflettevamo
sulla loro
azione e ipotizzavamo nuovi interventi o sviluppi. In Munari vi era
vera
disponibilità e sincero interesse per queste sperimentazioni che
dedicavamo ai bambini;
infatti, ogni volta mostrava una forte curiosità nel sapere com’era
andata. Per
esempio, decidemmo di provare l’esperienza definita “Formati diversi”,
da lui
realizzata nel 1977 in Brera, già con i bimbi di 4 anni, anche se
Munari aveva
delle perplessità in merito, perché pensava che i bimbi fossero troppo
piccoli.
La sperimentazione andò molto bene e Bruno dovette ricredersi. Fu un
periodo
molto bello che durò oltre dieci anni. Parte di queste esperienze sono
state
raccontate in circa 60 articoli che scrissi per la Rivista pedagogica
“Infanzia” diretta dal pedagogista Piero Bertolini che seguì da vicino
il mio
lavoro e nel 1996 ne pubblicai un resoconto dettagliato nel mio primo
libro: Giocandoscoprendo
pubblicato dalla casa editrice Nuova Italia di Firenze.
Negli anni successivi le esperienze sono state molteplici, prima accanto a Bruno Munari e poi al figlio prof Alberto, psicologo ed epistemologo, che mi ha aiutata a meglio osservare e comprendere l’operato del padre e la tipologia di pensiero che sosteneva il suo lavoro.
Perché
parlare
ora di questo? A cosa serve? Credo sia utile raccontare come la
didattica attiva, riferita ai suggerimenti che ci vengono da Munari,
abbia già
trovato, da molti anni, spazio e legittimazione nella scuola pubblica,
non
attraverso un’esperienza limitata, ma in diversi anni di prove e
verifiche,
mostrando tutta la sua efficacia nell’aiutare i bambini a sviluppare
una mente
più aperta, più orientata al fare ed alla progettazione, capace di
utilizzare
in modo creativo i linguaggi espressivi ed artistici per esprimere se
stessi.
Negli
anni
successivi per me è stato un grande piacere vedere come questo
testimone è
stato raccolto da allieve volenterose che hanno continuato a
progettare la
didattica a scuola utilizzando lo sguardo e il modello di pensiero al
quale
Munari ci aveva introdotto. I risultati sono stati sempre molto
lusinghieri,
con proposte sempre capaci di promuovere vera gioia nei bambini e
soddisfazione
nelle famiglie.
Vi
è
ancora necessità di questo? Io credo proprio di sì. La scuola oggi ha
perso,
talvolta, l’attenzione che dovrebbe riservare ai processi, alla
centralità del
bambino che apprende attraverso l’esperienza diretta, al piacere di un
gioco
esperienziale veramente creativo e alla migliore sensibilizzazione
verso i temi
dell’arte che sono basilari nel nostro Paese.
Le
insegnanti
sono troppo “sotto pressione” con incombenze anche di tipo
burocratico che assorbono buona parte del loro tempo. Io vorrei
suggerire a
queste insegnanti e a questa scuola di “rallentare”, di affrontare un
problema
ed un tema alla volta, procedendo per gradi – dal più semplice al più
complesso
– offrendo a tutti il giusto tempo.
A mio avviso, in questo momento, potrebbe essere molto utile per le insegnanti tutte, tornare ad avvicinarsi all’approccio di Munari. Ad un Metodo “regolabile”, che “calza a pennello” e che consente a ciascuna di essere vera professionista nel proprio ambito curricolare, senza la necessità di “scaricare progetti o schede” belle e pronte. Ritornare a Munari anche per diventare capaci della migliore organizzazione e regia dell’aula, consapevoli degli strumenti, materiali e tecniche più efficaci, sapienti osservatori dell’azione infantile e giusti promotori dei progetti dei bambini.
Oggi, più che mai, trovo sia necessario che la scuola sappia accogliere il pensiero sapiente e saggio di Bruno Munari per poter preparare una nuova generazioni di bambini autonomi, solidali, creativi e capaci di ragionare con la propria testa. Nel tempo delle intelligenze artificiali è il momento di coltivare, ancora di più, le intelligenze naturali.
Silvana Sperati © 2025